Il ricordo di Vittorangelo Orati nelle parole di Giorgio Vitangeli
E’ morto Vittorangelo Orati, insigne economista che è stato il primo presidente di Marte. All’alba del 5 ottobre, una lunga, straziante malattia ha avuto infine ragione del suo corpo, ma non del suo spirito, fino all’ultimo lucido ed indomito combattente. Per sua volontà il funerale si è svolto in forma privata e laica, e le spoglie sono state cremate.
Orati è stato “visiting professor” in numerose Università straniere. In Italia, anche per sua scelta, si era appartato ad insegnava economia nell’Università della Tuscia, a Viterbo, da dove peraltro aveva fondato l’International Institute of Advanced Economic and Social Studies, promuovendo con esso , assieme alla J.Hopkins University, le prestigiose Schumpeter Lectures, di cui è stato anche editore.
Nelle sue lezioni “volava troppo alto”, gli è stato quasi contestato, per Università, come quelle italiane, ridotte ad “imprese” la cui “efficienza” si misura anche dal numero dei promossi.
Ed in effetti Vittorangelo Orati volava alto. La sua produzione scientifica è stata tanto vasta quanto profonda e dirompente. Inizia nel 1984 con “L’anomalia della stagflation e la crisi dei paradigmi economici”, in cui dà ragione della simultanea presenza nell’economia italiana di quel tempo, di due opposti, la stagnazione e l’inflazione, giudicata impossibile dai paradigmi economici dell’economia classica. Nello stesso anno, in occasione del centenario della morte di Marx, pubblica “Produzione di merci a mezzo lavoro”, affrontando il problema secolare della trasformazione dei valori in prezzi, la cui mancata soluzione da parte di Marx aveva irrimediabilmente pregiudicato tutto il suo lavoro teorico, mettendo in dubbio la sua credibilità di “scienziato” dell’economia. Un libro talmente controcorrente questo di Orati nella letteratura su Marx da suscitare un imbarazzato totale silenzio da parte sia dei suoi cultori che del mondo accademico.
Nel 1992 per i tipi della ISEDI di Torino esce “Il (corto) circuito, ovvero una moneta per l’economia”, e cinque anni dopo la prestigiosa UTET, che raramente pubblicava opere di autori viventi, dà alle stampe i suoi due volumi su “Una teoria della teoria economica”.
Nel 2003 esce uno dei suoi libri più dirompenti: “Globalizzazione scientificamente infondata” nel quale, in un clima culturale e politico di accettazione acritica ed euforica della globalizzazione, Orati demolisce il teorema di Ricardo, che è il fondamento del liberismo globalizzante, dimostrandone l’inconsistenza scientifica.
“Il saggio del prof. Orati. commentò il prof. Clark W. Reynolds della Stanford University, rappresenta una sfida: distrugge l’intero apparato neoclassico della teoria del commercio internazionale e i suoi legami con la macroeconomia….Io spero che venga ascoltato”.
“Questo libro costituisce probabilmente uno dei più ambiziosi e rigorosi tentativi per fare a pezzi le politiche patrocinate dal Washington Consensus”, rincarò Michael Plummer, professore di International Economics alla Jons Hopkins University”.
La prestigiosa Rivista “International Journal of Applied Economics and Econometrics”, fondata dal Premio Nobel Jan Timbergen, con cinque premi Nobel nel suo Comitato Scientifico ne pubblicò l’edizione in lingua inglese, e accolse poi Orati – unico tra gli economisti italiani - tra i tre collaboratori nel primo di quattro numeri speciali dedicati al Nobel Paul Samuelson; gli altri due erano i premi Nobel Lawrence Klein e Robert Solow.
Tanto Orati era apprezzato all’estero, ai livelli più alti della scienza economica, quanto era passato sotto silenzio in Italia. La ragione era chiara: marxiano, ma non marxista, cioè studioso e seguace del Marx economista, ma non profittatore politico di quella dottrina, fustigava incessantemente la sinistra comunista italiana (“sinistra” in senso lombrosiano, lui diceva), “succuba e appiattita nella cultura di un capitalismo ormai putrescente”. Ma altrettanto vigorosamente contestava, non solo sul piano scientifico, gli economisti del “pensiero unico” liberista, che lui chiamava “economistici” , per la loro fede cieca ed interessata di economisti di corte a servizio del principe. A ciò aggiungeva un carattere ben poco incline a diplomatici accomodamenti, avendo fatto come una delle sue bandiere l’affermazione di Georges Bernanos. “Non esistono verità medie”, unitamente a quella di Joseph de Maistre: “Chi pensa in tutto come il suo secolo, è necessariamente nell’errore”.
Non a caso quando, nel 2013, il Gruppo Editoriale Repubblica-L’Espresso in una collana dal titolo “Capire l’economia”, composta da 23 DVD, pretese di far raccontare in modo semplice da alcuni esperti, tra cui 5 premi Nobel, la storia, le teorie ed i meccanismi dell’economia, cosicché tutti i lettori potessero comprendere il “Verbo” del “pensiero unico”, Orati contrappose alla collana de la Repubblica un suo libro il cui senso è già tutto nel titolo: “Non capire l’economia, ovvero 23 cattivi maestri”, nel quale smontava e distruggeva, una per una, le 23 “lezioni”.
Nell’ultima parte della sua vita questa sua vocazione di amaro e sferzante polemista finì quasi per prevalere sulla sua produzione scientifica. Ne sono testimonianza il libricino del 2010 sulla crisi dell’Università italiana, ove raccolse anche scritti di Mario Monforte, Costanzo Preve e Gaetano Salvemini, che voleva essere “un disperato grido di allarme e di richiamo a quanti non si sono ancora arresi alla deriva politica e civile dell’Italia”. In copertina una tomba, con una lapide in cui è scritto “Università”, e sopra un berretto accademico ed una toga, ed accanto un asino ed un maiale che mangiano pagine di libri.
E poi, a testimonianza ancora maggiore di questa sua vena polemica e di questo suo impegno civile, i due volumi su “La crisi globale e della globalizzazione: la grande incompresa”,in cui volle raccogliere gli articoli da lui scrittti per “La Finanza Italiana”, diretta da Giorgio Vitangeli e sul quotidiano della “sinistra nazionale” “Rinascita”, diretto da Ugo Gaudenzi. Due lunghe collaborazioni, detto per inciso, che gli costarono l’accusa di essersi “contaminato coi fascisti”, per cui la Rivista “Il Ponte” , su cui scriveva da anni , interruppe la pubblicazione dei suoi articoli.
Poi, come a concludere un ciclo di studi marxiani iniziato quasi 35 anni prima con “Produzione di merci a mezzo lavoro”, nel 2018, un anno prima di morire, in occasione del bicentenario della nascita di Marx, Orati pur già sofferente, dà alle stampe l’ultimo suo libro: Marx “scienziato” disvelato, in cui quasi completando il “progetto di ricerca” dell’autore di “Das Kapital”, ne intende dimostrare il valore di “scienziato” dell’economia.
Per vari aspetti, come si vede, le idee di Orati erano diverse dalle nostre. Ma al di là di alcune idee, e di un “vissuto” diverso, c’era una onestà intellettuale, una intelligenza polemica che non faceva sconti a nessuno, una profonda umanità, una insofferenza per l’opportunismo, una passione civile, che lo facevano a noi simile. E queste “affinità “ d’intelletto e di cuore finivano per far premio su tutto, e sono state il cemento della stima reciproca e d’una profonda amicizia di cui ora soffriamo la perdita.
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